L’EUROPA SIAMO NOI

La narrazione prevalente dei media e della politica ci porta a pensare che le Europa e le sue istituzioni siano qualcosa di distante, di calato dall’alto che interferisce con le nostre vite e che non ci appartiene. Da anni sentiamo ripetere le stesse formule vuote: Lo vuole l’Europa. Ce lo chiede l’Europa. È colpa dell’Europa…

In realtà l’Europa siamo noi. Siamo noi, con le nostre scelte, il nostro voto, a determinare chi governa e decide nelle istituzioni che formano l’Unione Europea: il Parlamento, il massimo organo democratico, eletto direttamente dai cittadini europei; il Consiglio UE, dove siedono i rappresentanti dei governi nazionali, anch’essi espressione del nostro voto. E la stessa Commissione Europea, nominata dai governi e votata dal Parlamento.

Ma soprattutto, l’Europa siamo noi come comunità di popoli legati da secoli di storia, di scambi, di cultura, di arte, di scienza, di faticosa costruzione di diritti e valori comuni di democrazia e libertà e, purtroppo, anche di conflitti. È proprio partendo da questi valori comuni, e per lasciarsi alle spalle i totalitarismi e le divisioni nazionali che hanno prodotto due sanguinarie guerre mondiali, che è nato il progetto di unificazione europea, un processo democratico unico nella storia che ha garantito 80 anni di pace, di convivenza e di sviluppo nel continente.

Questo non significa che il progetto di unificazione sia compiuto e perfettamente funzionante o che tutto quanto viene deciso in sede europea vada bene. Bisogna però sapere distinguere tra il progetto europeo, le istituzioni che oggi lo incarnano e l’indirizzo politico. L’indirizzo politico dell’Unione Europea e il suo attuale funzionamento dipendono dalle nostre scelte di voto a livello nazionale ed europeo. Da chi scegliamo per governarci. Non dai fantomatici burocrati di Bruxelles.

Se l’Europa siamo noi, sta a noi, con il nostro voto, con il nostro impegno, cambiarla e migliorarla sapendo che solo insieme possiamo pensare di affrontare le sfide globali del mondo attuale. Le elezioni per il Parlamento Europeo del 9 giugno ci danno questa grande opportunità: di decidere noi in quale direzione vogliamo che vada l’Europa ed il progetto di unificazione.

PER UN’UNIONE PIU’ FORTE

Attraversiamo un periodo storico in cui dobbiamo affrontare sfide globali inedite, in gran parte generate dal nostro stesso modello di sviluppo, che mettono a rischio il futuro e la tenuta delle nostre società.

Sfide fra loro connesse che sono al contempo ecologiche, economiche e sociali: l’emergenza climatica e la necessità di una rapida conversione energetica che ci porti fuori dall’era dei combustibili fossili; la crisi della biodiversità e la degradazione di ecosistemi vitali per il pianeta; le crescenti disparità e disuguaglianze economiche che generano conflitti dentro e fuori le nostre società; la pressione migratoria, frutto di queste disuguaglianze e degli effetti del cambiamento climatico; l’insorgere di nuove pandemie ed emergenze sanitarie; la competizione commerciale di paesi continenti come la Cina, l’India, gli Stati Uniti; i potenziali sviluppi incontrollati dell’intelligenza artificiale.

Parallelamente stanno riemergendo minacce esterne ed interne alle nostre istituzioni e alla nostra sicurezza che credevamo di avere definitivamente lasciato alle spalle. L’aggressione della Russia all’Ucraina, preceduta ed accompagnata da forme di guerra ibrida tese a condizionare i processi democratici, ci ha riportato lo spettro della guerra nel nostro continente.

Alle porte dell’Europa, dopo l’attacco terroristico di Hamas e la devastazione e l’eccidio di civili palestinesi perpetrati dal governo israeliano di Netanyahu, si è entrati in una spirale di guerra che rischia di incendiare l’intero Medio Oriente.

Dentro la UE, assistiamo inoltre all’affermarsi di movimenti politici illiberali e di derive autocratiche che minacciano i fondamenti stessi delle nostre democrazie

Pensare di affrontare queste minacce e queste sfide globali come singoli Stati, sbandierando il sovranismo nazionale, non è solo fuori dalla Storia, è semplicemente perdente. Il vero sovranismo, la possibilità di incidere e determinare il nostro futuro e destino, ce lo possiamo avere solo a livello europeo. Solo il peso di una Europa unita può tutelare le nostre democrazie, i nostri valori e gli interessi delle nostre comunità.

Per fare questo serve però una Unione Europea più forte di quella che conosciamo. Occorre proseguire e consolidare il processo di unificazione in senso federale, avviando una revisione dei trattati che consenta di superare il potere di veto dei singoli paesi su politiche vitali e che rafforzi il ruolo del Parlamento Europeo. Un processo di riforma indispensabile per garantire l’operatività anche in vista dell’allargamento e dell’ingresso di nuovi paesi nell’Unione, dai Balcani all’Ucraina.

Bisogna poi ampliare l’ambito delle politiche europee ai temi sociali e del lavoro e va finalmente costruita una politica estera comune. L’Unione Europea non può continuare ad essere un gigante economico e un nano diplomatico. La UE deve sapere difendere e promuovere la pace e avere nel mondo una sola voce per riaffermare i valori democratici, la cooperazione multilaterale e il rispetto del diritto internazionale e umanitario, a cominciare da Gaza. Serve una Unione più forte anche nella tutela dello stato di diritto, delle libertà e dei diritti fondamentali delle persone, dentro e fuori dall’Europa.

Per poter estendere il suo raggio di azione, l’Unione ha poi bisogno di risorse proprie. Non può continuare a dipendere dai trasferimenti degli Stati Membri. Serve un bilancio federale con entrate autonome e con la possibilità di creare debito comune per finanziare investimenti strategici, come è stato fatto dopo il Covid con il fondo di ripresa e resilienza.

E servono anche investimenti immateriali, nelle politiche culturali, educative, di scambio e di mobilità interna di giovani e studenti per rafforzare il senso di cittadinanza e una comune coscienza europea, senza la quale il progetto di Unione non può avere futuro.

PER UN’UNIONE PIU’ VERDE

Nel 2019 la Commissione Europea, con l’appoggio del Consiglio e del Parlamento, ha lanciato un grande patto: il green deal europeo. Il più importante impegno climatico e ambientale a livello mondiale, con l’obiettivo di raggiungere la neutralità climatica al 2050, azzerare l’inquinamento, preservare la biodiversità e gli ecosistemi, garantire la sostenibilità delle filiere agro-alimentari, promuovere l’economia circolare e l’uso efficiente delle risorse. Un impegno che è anche una politica di conversione energetica ed industriale per creare nuova occupazione e ricchezza e fare dell’Europa il continente leader per la green economy.

Cinque anni dopo, proprio nel momento in cui si fanno più eclatanti gli effetti dell’inquinamento e del cambiamento climatico e si registra una ulteriore accelerazione del riscaldamento globale con valori record che nel 2023 hanno già superato la soglia di 1,5 gradi dell’accordo di Parigi, assistiamo ad una ondata reazionaria da parte di governi e forze politiche di destra contro le politiche ambientali europee e il green deal in particolare.

Alcuni provvedimenti centrali come la legge sul ripristino della natura, il regolamento per la riduzione dell’utilizzo dei pesticidi, le norme sul benessere animale sono stati fermati da un’inedita alleanza tra destra ed estrema destra spalleggiata dalle lobby economiche che non intendono accettare alcun cambiamento. Il governo italiano ha perfino cercato di rimettere in discussione accordi già raggiunti sugli obiettivi di riduzione delle emissioni dei veicoli e di efficienza energetica negli edifici. Con la scusa che la transizione costa e tacendo sul fatto che il green deal prevede un fondo sociale per il clima.

Ma il costo dell’inazione qual è? Il costo sanitario del vivere in una delle zone più inquinate del pianeta, il costo dei danni causati da alluvioni, incendi e ondate di calore, il costo della perdita di produttività dei suoli e del degrado degli ecosistemi, quale è? Il costo del ritardo competitivo e industriale che stiamo accumulando su USA e Cina in tema di energie rinnovabili e nuove tecnologie, lo vogliamo calcolare? Il costo geopolitico di dipendere energeticamente prima dalla Russia e oggi da altri paesi in gran parte autocratici, come lo valutiamo?

La verità è che dietro le fake news cavalcate dalla destra contro la transizione ecologica si celano gli interessi di grandi gruppi industriali, come quelli petroliferi che, non contenti degli extra-profitti record generati in questi anni, vogliono che i cittadini continuino a consumare benzina e a pagare bollette esorbitanti per abitazioni che sono dei colabrodo energetici, con grande soddisfazione anche dei paesi esportatori di combustibili fossili.

Questa narrazione no-green falsa ed interessata va smontata per quello che è. Nella prossima legislatura europea l’impegno per la neutralità climatica e il green deal devono essere rilanciati e rafforzati, nella consapevolezza che l’unica economia che ci potrà garantire nel futuro occupazione lavorativa, benessere, salute e qualità di vita è quella green. La transizione verde è anche una questione di sicurezza. Diventare autonomi sul piano energetico, costruire una economia circolare, avere un maggiore controllo su tecnologie vitali e filiere di approvvigionamento ci rende più indipendenti da regimi autocratici e quindi più sicuri. Per attuare questa transizione servono fondi ed investimenti, che devono uscire dai vincoli del patto di stabilità, e un rinnovato impegno nella ricerca e nell’innovazione.

È nell’interesse di noi tutti vivere in città più verdi e pulite, abitare in case energeticamente efficienti e sismicamente sicure, mangiare cibi salubri da produzioni sostenibili, usare mezzi di trasporto che non inquinano e non fanno rumore, produrre beni di consumo riciclando le materie prime senza fare emissioni, avere fonti energetiche pulite, autonome e diffuse, godere della bellezza e dei benefici di una natura preservata con ecosistemi che funzionano. Così come è nell’interesse di tutti i cittadini europei che vi siano politiche ed investimenti per adattarsi agli effetti, purtroppo inevitabili, del cambiamento climatico.

Una Europa verde, pulita, resiliente, autonoma dal punto di vista energetico è un posto migliore dove vivere, più bello, più salubre, più ricco. E anche più sicuro.

PER UN’UNIONE PIU’ SOLIDALE

Il nuovo patto verde deve anche essere un patto sociale affinché nessuno resti indietro e sia data risposta alle crescenti disuguaglianze economiche, dandosi come obiettivo di azzerare la povertà. Le disparità che vediamo e le nuove povertà, come quella energetica, non sono state prodotte dalla transizione ecologica, ma dall’attuale sistema economico che concentra le risorse in poche mani e scarica i costi delle speculazioni finanziarie e degli impatti ambientali e sanitari su chi ha meno.

Preservare le risorse naturali, migliorare la qualità dell’ambiente urbano, attuare politiche di prevenzione e adattamento, ridurre i consumi energetici delle abitazioni, promuovere lo sviluppo diffuso di fonti rinnovabili, garantire sistemi di trasporto pubblico accessibili e a basso costo sono tutti interventi che vanno a beneficio delle fasce di popolazioni meno abbienti.

Certo, servono risorse per le famiglie che non possono permettersi di investire e per i settori occupazionali che dovranno riconvertirsi con adeguati programmi di sostegno e di accompagnamento. La transizione ecologica deve essere una transizione giusta e socialmente sostenibile.

Il green deal prevede già un Fondo sociale per il clima di 86 miliardi di euro finanziati con le aste per i crediti di carbonio. Questo fondo va potenziato attingendo da nuove risorse proprie dell’Unione che devono provenire da prelievi sugli enormi profitti delle grandi corporation, cancellando i paradisi fiscali all’interno dell’Europa, e da tasse mirate sulle transazioni finanziarie e sulle emissioni inquinanti, comprese quelle dei prodotti di importazione.

Bisogna poi ridurre le disparità crescenti, in termini di accessibilità ai servizi, di opportunità occupazionali e di livelli di reddito tra i grandi centri urbani e le aree rurali e montane, che soffrono di problemi di spopolamento e si sentono relegate ai margini delle direttrici di sviluppo e dello stesso progetto di unificazione europea. I Fondi strutturali per la coesione territoriale e lo sviluppo rurale, che alcuni vorrebbero ridurre, vanno mantenuti e rafforzati garantendo la massima sussidiarietà nella gestione per rispondere al meglio ai fabbisogni locali. Va inoltra estesa l’infrastrutturazione digitale assicurando una copertura capillare delle connessioni ad alta velocità per tutti i territori.

Ma la UE deve essere solidale anche al di fuori dei suoi confini che non possono diventare dei muri contornati da filo spinato, così come il mare Mediterraneo non può trasformarsi in una enorme fossa comune. Il problema epocale della migrazione, i cui principali motori sono la povertà, i conflitti, il cambiamento climatico, non si risolve certo facendo accordi con degli autocrati corrotti per detenere i migranti in condizioni incompatibili con la dignità umana e con i valori e i diritti di cui ci facciamo portatori. I lager del Nord mediterraneo vanno chiusi e nessuno euro deve essere dato a chi li permette.

Servono vere politiche di cooperazione e sviluppo e non di neocolonialismo più o meno camuffato per continuare a sfruttare risorse naturali e combustibili fossili. E serve soprattutto il superamento delle attuali politiche di migrazione e di asilo con l’istituzione di canali legali di ingresso, il riconoscimento senza indugi dello stato di rifugiato per chi fugge da guerre, discriminazioni e disastri ambientali, la compartecipazione all’accoglienza da parte di ogni Stato membro indipendentemente dal punto di ingresso. Da questo punto di vista il pacchetto immigrazione e asilo approvato in aprile rappresenta un passo indietro che con il nuovo Parlamento dovrà essere rimesso da subito in discussione.

Di fronte alle sfide che ci aspettano, solo una Unione più forte, più verde, più solidale può garantirci un futuro di benessere e di pace.

Di questo mi farò portatore se sarò eletto al Parlamento Europeo all’interno del gruppo dei Verdi Europei.

Il programma completo dei Verdi Europei si trova a questo link.

A quest’altro link un mio intervento sul futuro della Politica Agricola Comune.